Oltre alla mia famiglia e alla lettura/scrittura, un'altra delle mie grandi passioni è quella dei videogiochi. Già vedo gli intellettuali o sedicenti tali che storcono il naso di fronte a una simile affermazione: un aspirante scrittore che si abbassa al demoniaco livello del rimbambimento videoludico. Ma io non sono un intellettuale, neanche sedicente tale, e non voglio diventarlo. Io voglio vivere bene e divertirmi e i videogiochi, oltre alla mia famiglia e alla lettura/scrittura, soddisfano questo scopo.
Ma c'è dell'altro. Nello sviluppo di un videogioco, di quelli ben strutturati almeno, trovo molte affinità con l'arte di scrivere. In fondo, oltre ai tecnici deputati alla programmazione vera e propria, ci sono persone che devono scrivere trame ben congegnate e coinvolgenti per soddisfare un pubblico di giocatori che, lo dico per esperienza, è sempre più esigente. Io pagherei per poter collaborare alla sceneggiatura di un videogame.
Tra i numerosi generi di videogame, quello che preferisco è il cosiddetto free-roaming. Che, ad essere precisi, non è propriamente un genere, ma un'approccio, un'impostazione che può essere applicata a diversi generi. C'è la serie di Grand Theft Auto, che è un free-roaming di azione; c'è la serie di The Elder Scrolls, che è un gioco di ruolo fantasy free-roaming; c'è la serie di Assassin's Creed, che è un free-roaming di azione ma a sfondo storico.
Quel che accomuna tutti è il concetto di poter vagare liberamente per mondi più o meno vasti e costruirsi una propria storia. Esiste una trama principale, ma è possibile ignorarla completamente e dedicarsi ad altro. Con altro intendo missioni secondarie strutturate, ma anche attività del tutto casuali. Spesso, anche io mi ritrovo a vagare senza meta, semplicemente per scoprire nuovi luoghi o vedere cosa fanno i cittadini virtuali. E parte della grandezza di questi giochi sta proprio in questo: in qualunque momento, in qualunque punto della mappa, ci sono personaggi non rilevanti ai fini della trama che fanno qualcosa. Un aspetto che contribuisce al realismo di questi videogame, dando l'impressione di muoversi in un mondo strutturato a 360°. Verosimile.
Quando ho compreso che l'idea di fondo della mia trilogia di Alethya doveva essere ambientata in un mondo alternativo ho tenuto presente questi concetti. La mia esperienza videoludica si è rivelata fondamentale per aiutarmi a creare un mondo nuovo. Mi ha suggerito, prima di tutto, che uno dei modi più efficaci per descrivere luoghi fittizi e diversi dal nostro è raccontare ciò che fanno e pensano le persone che li popolano. E mi ha poi spinto a inserire note di colore nel romanzo, includendo qualche breve capitolo in cui ci si sposta dal cuore dell'azione per andare a sentire la voce o le reazioni della gente comune, nelle case o per le strade.
Il risultato è che Alethya è un Regno un po' più solido, non solo abbozzato. E mi auguro di essere riuscito, in questo modo, a trasmettere la certezza che intorno alle vicende principali ci sia un mondo che gira e vive e respira e pensa. Con me stesso ha funzionato: la curiosità di sapere che cosa accade oltre le montagne a nord, o nelle terre all'estremo oriente, si trasformerà probabilmente in una futura raccolta di racconti.
Tutto questo da qualche "stupido" videogioco. Vi sembra poco?