Se mi concedete il paragone poco culturale (d’altronde,
dovreste conoscermi), nell’ultimo film di Checco Zalone, “Sole a catinelle”, il
protagonista viene assunto come venditore porta a porta di aspirapolvere e, nel
giro di poco tempo, riesce a diventare venditore dell’anno. Il tutto grazie
alle vendite concluse con i suoi parenti (al punto che, saturato quel mercato,
il suo rendimento cala fino a farlo licenziare, ma questo è superfluo per il
post attuale).
Il concetto può essere trasferito
nella mia esperienza, e più in generale in quella degli scrittori emergenti
(sommersi) e di tutti gli aspiranti artisti. Perché, quando produci qualcosa
(un libro, un CD, un quadro, una serie di fotografie) e non sei nessuno, la
prima cosa che ti viene in mente è che la tua nutrita schiera di amici,
conoscenti, parenti di vario grado sarà il pubblico certo di cui hai bisogno
per il lancio iniziale. Da loro partirà poi un passaparola dal devastante
effetto cascata, perché se ogni persona a te vicina parlerà di te e della tua
creazione anche a un solo conoscente tu raddoppierai il tuo pubblico. Senza
contare che, soprattutto nei piccoli paesi, la voce della nascita di una nuova,
potenziale stella si spargerà rapidamente e attrarrà decine di curiosi...
Beh, sapete?, in questa onirica
prospettiva io mi sono fermato, sin dal primo libro (che è stato quello di
maggior successo, pur con tutti i suoi difetti), al primo passaggio: amici e
parenti. Il passaparola non è esistito e quel poco che c’è stato l’ho favorito
io stesso con post su Facebook al limite dello spam. L’effetto
sorpresa-nel-piccolo-paese non l’ho percepito nemmeno per un secondo, se non
per un trafiletto sul giornale locale. Non solo, ma con la pubblicazione del
secondo e terzo romanzo ho assistito a un calo assoluto dell’interesse (non
parlo solo di vendite, ovviamente, ma di partecipazione), per cui sembra che io
abbia molti meno amici e molti meno parenti...
Qual è la causa di questo? Non
posso esimermi dal pormi questa domanda: la risposta ad essa, infatti, è legata
a doppio filo alla continuazione del mio impegno letterario. A che pro
sacrificare tempo, denaro, aspettative, se il riscontro tende inevitabilmente a
zero? Forse dovrei modificare la rotta e, pur non abbandonando la mia passione
ed il mio sogno, per motivi che ho già elencato più e più volte, dovrei
limitarmi a tenerla per me stesso, o a non divulgarla fino al giorno, se mai
esisterà, in cui troverò un editore capace di darmi maggiore visibilità.
Qual è la causa?, dicevo. A volte
ho pensato che si trattasse di me, ma in tutti gli altri ambiti della mia vita
godo di ottime relazioni e di una buona reputazione tra la gente, quindi lo
escluderei. Potrebbe trattarsi della mia scrittura, e ci sta. Potrebbe
trattarsi della assuefazione: il primo romanzo rappresentava la novità, ma ora
uno all’anno diventa routinario e poco attraente.
Oppure, ed è quello che reputo
più probabile e che in parte riassume le tre precedenti possibilità, si tratta
dell’idea per cui, parafrasando un noto detto, Nemo Scriptor in Patria.
La frase è nata una sera in cui assistevo, a Viadana, alla presentazione del
libro di una ragazza di Mantova, scrittrice emergente anche lei, che parlava
davanti a quasi cento persone. La settimana prima, in quella stessa sala, io
avevo parlato a forse una ventina e la settimana prima ancora un’altra collega
viadanese aveva avuto la mia stessa sorte.
In breve, penso che sia
difficile, per chi ti conosce, credere che tu possa avere un valore artistico,
a meno che questo non sia suggellato da un riconoscimento, una menzione, una
citazione a livello superiore (stampa, pubblicità, televisione). Tanto più se
la tua arte è di difficile e lenta fruizione, come nel caso della scrittura.
Non si tratta di un giudizio sulla persona, ma sul suo lato artistico: non temo
che la gente a me vicina mi trovi poco interessante, ma che non ritenga di
dover impegnare un paio d’ore ed eventualmente dieci euro per qualcosa che ho
scritto. Magari in quelle due ore sfoglia altri libri in libreria e compra
quello di uno sconosciuto, ma pubblicato da Mondadori e ben impilato vicino
alla cassa.
Io sono diverso dalle persone di cui sto parlando? Probabilmente, anzi
sicuramente no. Siamo tutti uguali. Tant’è che non sto esprimendo critiche, ma
riportando valutazioni e riflessioni che spero possano migliorare il mio modo
di pormi, in primis, e delineare il percorso che dovrò seguire nei prossimi
anni.