Osservo un forte, e a suo modo triste, parallelismo tra la condizione del giovane in cerca di lavoro e quella dello scrittore emergente. Ho vissuto entrambe le esperienze e non voglio in alcun modo offendere nessuno dei membri delle due categorie, né sminuire lo stato di chi non riesce a trovare occupazione.
Il giovane in cerca di lavoro suona al citofono delle aziende come un venditore porta a porta. Percorre chilometri, in auto o a piedi, col sole o sotto la pioggia, armato di una cartellina strabordante di curricula dettagliati e inghirlandati. Si presenta con un sorriso smagliante, la schiena eretta e il petto in fuori, scattante come se volesse dimostrare al suo interlocutore quanto potrebbe essere attivo, operativo, proattivo, già in quei pochi secondi concessi per la consegna del curriculum. Quando ha la fortuna di poter entrare nell'azienda, ovviamente, e non viene allontanato con un "No, grazie" come, appunto, un qualunque venditore porta a porta.
Ma ecco, vedete, lo scrittore emergente non fa nulla di diverso. Armato di ingombranti copie del suo manoscritto, redatto seguendo le più scrupolose regole trovate su internet, per renderlo adeguato agli standard richiesti dalle case editrici, quello che fa non è che una versione virtuale del porta a porta. Naviga tra i siti degli editori, sforzando la vista alla ricerca delle istruzioni per l'invio della propria opera, augurandosi di non incappare nel triste messaggio che recita "La valutazione di inediti è sospesa a data da destinarsi", e invia plichi o mail a destra e a manca, accompagnandoli con lettere di presentazione che più barocche non si potrebbe.
Il giovane inoccupato torna a casa e vive con la speranza di ricevere la telefonata con cui finalmente lo invitano a un colloquio. Lo scrittore emergente torna alle sue faccende in attesa che uno degli editori a cui si è rivolto lo contatti per approfondire la valutazione del testo e parlare della sua pubblicazione. L'uno è convinto del proprio valore umano, dei vantaggi che potrebbe portare all'eventuale azienda che decidesse di assumerlo, dell'impegno che metterebbe in ogni singola mansione a lui destinata. L'altro è certo dell'attenzione e della cura dedicata alla stesura del proprio manoscritto, ricorda le notti passate a limare il testo per trovare un sinonimo che suonasse meglio, una struttura della frase meno macchinosa, un aggettivo che desse il colore adatto a un personaggio.
Ad accomunare i nostri due casi umani è la speranza, quella speranza che non conosce ostacoli che definiamo ostinazione. Ma che deve essere epurata di qualunque accezione negativa, dal momento che deriva dalla necessità, in un caso, e dal desiderio, nell'altro, di raggiungere un livello esistenziale superiore.
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