Sono passati più di due anni da quando ho iniziato a gestire
questo blog, che, nonostante alcune fasi difficili, sembra resistere. Quando lo
aprii, scelsi il titolo di getto, senza riflettere troppo. Avevo abbozzato
altri blog in precedenza e tutti vertevano sul percorso che mi vedeva impegnato
verso la stesura di un romanzo e la sua eventuale pubblicazione. Forse fu in
tal senso che la mente mi suggerì la metafora del viaggio, che poi definisco
meglio nel sottotitolo/descrizione del blog. In ogni caso, non vi fu uno studio
vero e proprio del titolo e, a dire il vero, “Scrivere è un Viaggio” mi suonava
anche come banale e trito.
Pochi giorni prima della presentazione viadanese de “Il
Segreto di Malun”, la mia ormai inseparabile relatrice Monica mi ha suggerito
che avremmo potuto parlare della mia scrittura intesa come viaggio, legandoci
proprio al blog. Alla fine non c’è stato tempo, ma ormai Monica mi aveva messo
la pulce nell’orecchio e mi aveva fatto riflettere. Così, a posteriori, posso
affermare che il titolo del blog calza a pennello. Scrivere è davvero un
viaggio.
Quando partiamo per un viaggio siamo colmi di emozione e
aspettative, ed è così che mi sento ogni volta che mi appresto ad iniziare una
storia nuova. Allo stesso tempo, soprattutto se il viaggio non è pianificato
nei minimi dettagli, sperimentiamo un certo timore per ciò che potrebbe
attenderci, per eventuali imprevisti, per le difficoltà che potremmo incontrare
e che non possiamo in alcun modo preventivare. Potremmo bucare una ruota o perdere
una coincidenza, allo stesso modo in cui io potrei accorgermi dopo centinaia di
pagine che una storia non funziona, che una spiegazione non regge.
Viaggiare ci porta a contatto con nuovi luoghi, nuove
persone, nuove culture. Ci insegna molto, stimola in noi il desiderio di
conoscere, di informarci, di aggiornarci. In un certo senso, ci aiuta anche a
conoscere meglio noi stessi, perché è dal confronto con chi è diverso che
possiamo comprendere la nostra unicità. E ci spinge anche a donare noi stessi,
a mettere in mostra ciò che siamo, a esibire il meglio di noi tutto e subito,
perché le relazioni, in viaggio, sono rapide e fugaci.
Viaggiare può anche farci perdere delle persone. Alcune
possiamo lasciarle lungo la strada, scegliendo una direzione diversa a un
bivio. Altre, forse, rimangono a casa e le nuove esperienze ce le mostrano
sotto una luce diversa, il che ci induce, lentamente ma inesorabilmente, a
farle scivolare via dalle nostre vite, in quanto incompatibili. Analogamente,
lo stesso impianto della nostra esistenza quotidiana, delle nostre aspettative,
del nostro modo di pensare possono essere messi in discussione e rivoluzionati
in base a quanto viviamo durante un viaggio particolarmente lungo, intenso e
formativo.
Io non sono mai stato un grande viaggiatore, ma da tempo
ormai viaggio con la scrittura, e posso confermare che queste sensazioni le
provo tutte e che sono una delle ragioni principali per cui non smetto. In
questi tre anni molto è cambiato: la strada si è fatta sempre più in salita, il
denaro è sempre meno e molto spesso mi trovo a viaggiare da solo. Ma
l’entusiasmo, la spinta iniziale che mi ha condotto fino a qui, quello non si è
mai affievolito. L’unico modo per fare in modo che sia sempre così è
convincersi di non essere ancora arrivati. Spesso è quando giungi alla meta che
ti adagi e, contemporaneamente, senti che tutte le emozioni si affievoliscono,
perché inizi a pensare al ritorno a casa.
Se non arrivi mai, non c’è mai il rischio che tu debba
tornare sui tuoi passi. Puoi solo continuare ad andare avanti!
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