venerdì 14 novembre 2014

Scrivere è (davvero) un Viaggio

Sono passati più di due anni da quando ho iniziato a gestire questo blog, che, nonostante alcune fasi difficili, sembra resistere. Quando lo aprii, scelsi il titolo di getto, senza riflettere troppo. Avevo abbozzato altri blog in precedenza e tutti vertevano sul percorso che mi vedeva impegnato verso la stesura di un romanzo e la sua eventuale pubblicazione. Forse fu in tal senso che la mente mi suggerì la metafora del viaggio, che poi definisco meglio nel sottotitolo/descrizione del blog. In ogni caso, non vi fu uno studio vero e proprio del titolo e, a dire il vero, “Scrivere è un Viaggio” mi suonava anche come banale e trito.

Pochi giorni prima della presentazione viadanese de “Il Segreto di Malun”, la mia ormai inseparabile relatrice Monica mi ha suggerito che avremmo potuto parlare della mia scrittura intesa come viaggio, legandoci proprio al blog. Alla fine non c’è stato tempo, ma ormai Monica mi aveva messo la pulce nell’orecchio e mi aveva fatto riflettere. Così, a posteriori, posso affermare che il titolo del blog calza a pennello. Scrivere è davvero un viaggio.

Quando partiamo per un viaggio siamo colmi di emozione e aspettative, ed è così che mi sento ogni volta che mi appresto ad iniziare una storia nuova. Allo stesso tempo, soprattutto se il viaggio non è pianificato nei minimi dettagli, sperimentiamo un certo timore per ciò che potrebbe attenderci, per eventuali imprevisti, per le difficoltà che potremmo incontrare e che non possiamo in alcun modo preventivare. Potremmo bucare una ruota o perdere una coincidenza, allo stesso modo in cui io potrei accorgermi dopo centinaia di pagine che una storia non funziona, che una spiegazione non regge.

Viaggiare ci porta a contatto con nuovi luoghi, nuove persone, nuove culture. Ci insegna molto, stimola in noi il desiderio di conoscere, di informarci, di aggiornarci. In un certo senso, ci aiuta anche a conoscere meglio noi stessi, perché è dal confronto con chi è diverso che possiamo comprendere la nostra unicità. E ci spinge anche a donare noi stessi, a mettere in mostra ciò che siamo, a esibire il meglio di noi tutto e subito, perché le relazioni, in viaggio, sono rapide e fugaci.

Viaggiare può anche farci perdere delle persone. Alcune possiamo lasciarle lungo la strada, scegliendo una direzione diversa a un bivio. Altre, forse, rimangono a casa e le nuove esperienze ce le mostrano sotto una luce diversa, il che ci induce, lentamente ma inesorabilmente, a farle scivolare via dalle nostre vite, in quanto incompatibili. Analogamente, lo stesso impianto della nostra esistenza quotidiana, delle nostre aspettative, del nostro modo di pensare possono essere messi in discussione e rivoluzionati in base a quanto viviamo durante un viaggio particolarmente lungo, intenso e formativo.

Io non sono mai stato un grande viaggiatore, ma da tempo ormai viaggio con la scrittura, e posso confermare che queste sensazioni le provo tutte e che sono una delle ragioni principali per cui non smetto. In questi tre anni molto è cambiato: la strada si è fatta sempre più in salita, il denaro è sempre meno e molto spesso mi trovo a viaggiare da solo. Ma l’entusiasmo, la spinta iniziale che mi ha condotto fino a qui, quello non si è mai affievolito. L’unico modo per fare in modo che sia sempre così è convincersi di non essere ancora arrivati. Spesso è quando giungi alla meta che ti adagi e, contemporaneamente, senti che tutte le emozioni si affievoliscono, perché inizi a pensare al ritorno a casa.


Se non arrivi mai, non c’è mai il rischio che tu debba tornare sui tuoi passi. Puoi solo continuare ad andare avanti!

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