Non riesco più a leggere.
Non nel vero senso della frase,
fortunatamente gli insegnamenti delle maestre alle elementari sono ancora
efficaci. Non voglio neanche dire che non ho più tempo per leggere
romanzi, sebbene rispetto ai miei anni d’oro io abbia dovuto registrare una
flessione in negativo tendente allo zero. Figli, lavoro, impegni mi hanno
assorbito al 90%. La scrittura si è presa il restante 10% e allora tanti saluti
a tutti. Grazie al cielo, nell’ultimo periodo sono riuscito a riprendere in mano
un libro e a ritagliarmi uno spazio per la lettura, approfittando di una pausa
tra la fine di un manoscritto e l’inizio del prossimo (a fatica, devo
ammetterlo, perché ero e sono in fervente fase creativa).
Proprio la nuova lettura, che nello specifico è “Silenzio
Assoluto” di Frank Schatzig (se si scrive così) mi ha messo di fronte a questa
nuova verità. Non so più leggere. Non so più leggere come un tempo, facendolo
per il gusto di farlo, abbandonandomi all’autore e alle sue creazioni con
fiducia, lasciandomi traportare per mano nella storia, accanto ai suoi
personaggi.
Sarà che ho cominciato a scrivere a mia volta con regolarità.
Sarà che ho imparato a leggere, rileggere e rileggere ancora i miei manoscritti
alla caccia di errori, ripetizioni, incongruenze. Sarà che le recensioni a miei
libri e a libri di altri esordienti che ho letto mi hanno aperto gli occhi
verso un certo tipo di imprecisioni da evitare.
Fatto sta che leggo il romanzo e, anziché lasciarmi
assorbire completamente, percepisco una parte di me che, con piena razionalità
e un certo meccanicismo, sonda ogni paragrafo, ogni frase, alla ricerca di
errori. In altre parole, leggo non come un lettore, ma come un correttore di
bozze. Mi saltano all’occhio ripetizioni, refusi, dialoghi poco convincenti,
situazioni paradossali. Non mi chiedo se la storia mi sia piaciuta, ma se
l’autore l’abbia scritta bene.
Non so se sia un bene o un male. Di certo indica che sto
sviluppando una certa raffinatezza, una certa attenzione, che non può che
giovare al mio lavoro e della quale devo ringraziare chi, come dicevo sopra, ha
recensito i miei libri (in particolare “L’Eredità”). D’altro canto, non vorrei
trasformarmi lentamente in un “critico”, per così dire, perché i critici di
rado apprezzano davvero qualcosa; sono più portati a trovare i difetti, che a
elencare i pregi; godono, tra virgolette, nel distruggere, più che nel
supportare chi crea e costruisce.
Nella vita, sono sempre stato convinto che tutto debba
reggersi sulle emozioni, sulle relazioni. La ragione serve solo da supervisore,
da barriera di protezione per evitare di superare certi limiti pericolosi.
Applicata alla lettura, questa “filosofia” mi porta a pensare che se uno
scrittore, famoso o emergente, riesce a trasmettere sensazioni forti, riesce a
creare un legame con il lettore – legame autore-lettore o autore-personaggi – i
difetti dello stile e del contenuto passano in secondo piano. Ovviamente deve
trattarsi di difetti marginali.
Scrivere è un viaggio, come ho intitolato questo blog.
Allora, a mio parere, scrivere bene è saper prendere per mano il lettore e
accompagnarlo in questo viaggio. Poi lungo la strada si può anche parlare in
dialetto e si può sobbalzare con le buche nell’asfalto, ma se si sta bene insieme,
se la compagnia è piacevole, l’esperienza sarà comunque magica e
indimenticabile.
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