Il mio segreto, se mai ne ho uno, è nel non prendermi sul
serio. Non troppo, almeno. E pur senza rinunciare alla ricerca del massimo
risultato.
Sono sempre andato bene a scuola. Ho sempre ambito ai
massimi risultati. Ma non ho mai trascurato altri aspetti della mia vita per
perseguirli, né ho fatto di quegli obiettivi l'unico, o principale, traguardo.
Ho sempre corso pensando alla medaglia d'oro, ma se durante il tragitto sentivo
un'articolazione scricchiolare rallentavo e godevo del secondo o del terzo
posto. Gli obiettivi non devono influenzare la vita: devono indirizzarla, ma
sta a noi aggiustare il tiro se e quando vediamo che ne è giunto il momento.
Nella mia ancor breve esperienza di scrittore emergente
(sommerso), sono entrato in contatto indiretto anche con molti colleghi o
aspiranti tali che non la pensano come me. C'è gente che ritiene che o
raggiungi il massimo, o trai il meglio da qualunque attività, o non ne vale la
pena. Gente che scrive un libro e pretende che quell'opera non solo trovi un
editore, ma garantisca guadagni e una seppur minima notorietà, con la
motivazione che l'impegno profuso per scrivere deve essere valorizzato.
Non sono qui per criticare o imporre il mio pensiero.
Semplicemente lo espongo, come altri fanno altrove.
Non è sbagliato scrivere pensando di dare vita a un
capolavoro degno di un grande editore e di lauti guadagni. Sbagliato è, secondo
me, ritenere che solo trovare un grande editore e lauti guadagni possa
valorizzare ciò che abbiamo scritto. In altre parole, l'ambizione massima serve
come linea guida, come ammonimento a dare il meglio di noi stessi in ciò che
facciamo. Ma una volta portata a termine l'opera, è saggio confrontarci con la
realtà e ridimensionare oggettivamente le nostre prospettive.
C’è gente che mi dice «Allora tu ambisci a diventare uno
scrittore famoso», o «Quando scriverai un libro per la Mondadori...», o «Scrivi
perché in questo periodo di crisi bisogna provarle tutte per guadagnare», o
ancora «Quante copie hai venduto/quanto hai guadagnato?». Sono tutte domande
che lasciano il tempo che trovano e che presuppongono che io scriva per qualcos’altro,
che la scrittura sia un mezzo.
La mia scrittura è un fine. Un fine che a sua volta può
avere effetti collaterali che possono chiamarsi perdita o guadagno, notorietà o
cattiva reputazione, ma che non è asservito a nessuno di quelli. Se così non
fosse, avrei dovuto fermarmi al primo rifiuto di un editore, alla prima
recensione negativa, al primo contratto che prevedeva bassi diritti d’autore,
ai primi dati di vendita.
Invece vado avanti, sempre con quell’ossimorica visione
della vita: punta in alto restando in basso. Punta al 10, sapendo che forse
realizzerai un 8 e che anche se gli altri lo giudicheranno un 6 non sarà un
fallimento, ma un passo avanti verso quel 10. E se il 10 non arriverà mai, sarà
stato comunque emozionante provarci. Viaggiare verso l’obiettivo. Tanto più se
quel viaggio consiste nel fare una delle cose che ami di più nella vita.
Scrivere.
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