L'altro giorno, mentre stampavo delle etichette al lavoro, la mia mente è tornata alle parole di un mio conoscente. Eravamo a una delle presentazioni de "L'eredità" e questo signore, nella parte riservata alle domande dal pubblico, ha posto un quesito particolare e assolutamente legittimo: come mai un ragazzo come me, che a scuola si è sempre distinto, è finito a fare il semplice impiegato? Posso considerarmi realizzato in una simile condizione?
Quella sera non ebbi modo di rispondere, perché lo fece un altro ragazzo che presentava assieme a me e che si trovava in una situazione analoga. Disse quel che avrei detto anche io, ossia che quando una persona è soddisfatta di quello che fa non deve avere rimpianti per non essere "qualcosa di più".
Approfondendo il discorso, sono arrivato recentemente a interrogarmi ancora sulla questione. Esiste in gran parte delle persone questa idea, secondo cui la piena "legittimazione" della vita può derivare solo dal lavoro. Come forse ho scritto altrove, io credo invece che il lavoro non sia che uno strumento, un mezzo necessario a condurre un'esistenza degna di tale nome (necessario non in senso assoluto, ma perché la società lo ha reso tale) e non il fulcro dell'esistenza stessa.
Ritenere che la soddisfazione e la realizzazione personale debbano passare per forza dal successo sul posto di lavoro è come affermare che al di fuori di quell'ambito non esista niente di abbastanza qualificante, di abbastanza coinvolgente, di abbastanza importante. Quando andavo a scuola avevo buoni risultati, è vero, ma non ho mai dato l'anima per ottenerli. Ho sempre sostenuto l'importanza delle relazioni e degli interessi personali e, per quanto possibile, li ho sempre messi al primo posto. Cerco di fare lo stesso anche nella mia esperienza professionale, nella quale do il massimo, ma che non considerò la parte più rilevante della mia esistenza.
Quella è fuori dal lavoro. È rappresentata dalla famiglia, dagli amici, dagli hobby. Da queste persone e da questi interessi può derivare o meno la soddisfazione, il senso di realizzazione. Dall'opinione che di me riesco a trasmettere, dal ricordo che di me riuscirò a lasciare. Perché in fondo, un giorno, di noi non resterà che la memoria e sarà in quella memoria che la nostra esistenza troverà la sua ultima appendice incorporea. Se ci focalizzassimo solo sul successo nella carriera potremmo essere ricordati come grandi lavoratori o imprenditori di successo, ma io preferisco che la gente guardi a me come "persona" a tutto tondo, con un forte rispetto dei valori e con un profondo amore per la vita.
Questo mi darebbe la piena soddisfazione e con questo obiettivo vivo giorno dopo giorno cercando di essere un uomo positivo, costruttivo, proattivo. Sia che si tratti di chiudere contratti da migliaia di euro, sia che si tratti di stampare qualche etichetta. O di vestirsi da supereroe per far divertire i miei figli!
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