C'era una volta una piccola comunità che viveva sperduta in una grande foresta. Al centro del villaggio sorgeva un'alta statua di legno che raffigurava un uomo con le braccia tese verso il cielo. Gli abitanti lo chiamavano Keaf e la sua raffigurazione era l'oggetto più importante per tutta la comunità. Nessuno sapeva con precisione chi l'avesse costruita né quando, ma tutti erano concordi nell'affermare che la sua presenza fosse fondamentale per la sicurezza del villaggio. Non solo, ma la torreggiante riproduzione di Keaf ricordava a tutti il messaggio che egli aveva portato e che era stato trasmesso di generazione in generazione: un messaggio che parlava di collaborazione, di fratellanza, di altruismo, uniche linee guida capaci di garantire la sopravvivenza della comunità.
Ebbene, negli anni di cui vogliamo parlare viveva nel villaggio un giovane, Polt, che era noto per il suo rifiuto di credere a qualunque benefico influsso sulla comunità da parte di Keaf. Polt viveva esattamente come gli altri, collaborando per il bene comune del villaggio, eppure era guardato con distacco e diffidenza. Non riconosceva l'importanza di Keaf, dicevano, e da un momento all'altro quella scelta avrebbe potuto portarlo ad agire in modo contrario ai principi che egli trasmetteva e quindi in modo dannoso per la comunità.
Un giorno un violento temporale si abbatté sul villaggio. I venti indomabili e la tempesta distrussero diverse abitazioni, ma quel che sarebbe rimasto per sempre nella memoria degli abitanti fu il fulmine che colpì direttamente la statua di Keaf, incendiandone la base. Inutili furono i tentativi di domare le fiamme: il fuoco arse la statua di legno e la fece crollare in un turbinio di cenere e scintille.
Sin dal giorno seguente nel villaggio calò una profonda depressione, un senso di sfiducia e rassegnazione che non aveva precedenti nella storia della comunità. Non solo la gente rifiutava l'idea di ricostruire la statua tanto importante - cosa che sarebbe risultata a suo modo blasfema, dal momento che qualcuno credeva che essa non fosse opera dell'uomo, ma di Keaf stesso - ma addirittura nessuno trovava la forza e la voglia di impegnarsi per ripristinare le abitazioni del villaggio.
L'unica eccezione fu il giovane Polt. Non erano passate nemmeno due ore dalla fine del temporale, che già aveva iniziato a liberare il terreno intorno alla sua casa e a quella dei vicini. Mentre lavorava, incitava a gran voce quanti stavano intorno ad osservare, spaesati e confusi come se non capissero che cosa stesse facendo e come se non sapessero nemmeno bene chi e dove fossero. Persino i genitori di Polt, affacciati alla finestra di casa, scuotevano la testa e lo pregavano di fermarsi, di placare la sua operosità, ché tanto Keaf li aveva abbandonati e non ne valeva più la pena.
Ma Polt non si fermò e solo la ferma opposizione degli altri abitanti del villaggio riuscì a trattenerlo dal sistemare anche le loro abitazioni. Il giovane non si perse comunque d'animo e continuò, nei giorni seguenti, a vivere e lavorare per la comunità come aveva sempre fatto. Comunità che, a quanto pareva, era crollata assieme alla statua di Keaf, dal momento che la gente, ancora apparentemente stordita, aveva cominciato a pensare più all'interesse personale che a quello collettivo, a lavorare per il proprio sostentamento e a non curarsi delle necessità dei vicini.
Qualcuno non resse e abbandonò il villaggio, senza salutare, col favore delle tenebre; qualcun altro si tolse addirittura la vita. Solo Polt rimase l'uomo che era. Solo, ora era un po' più felice.
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